Qualche tempo fa in un altro articolo, ho raccontato di come, secondo la mia esperienza, un ecosistema digitale affondi le sue radici non solo in una buona dose di organizzazione, ma, anche e soprattutto, nel rispetto e nella valorizzazione delle persone, le unità funzionali di un’azienda.
Occuparsi della felicità e della soddisfazione dei propri dipendenti non è sempre stato uno degli obiettivi primari delle aziende, se escludiamo alcune esperienze pionieristiche come quella del grande Adriano Olivetti. Oggi, però, sta cominciando a diffondersi la consapevolezza che con un team di persone felici e motivate, le aziende possono raggiungere più facilmente obiettivi di crescita, innovazione e cambiamento.
In questo articolo vediamo quali sono, secondo noi, i 10 aspetti da considerare per creare, motivare e trattenere una squadra di talenti, specialmente se si ha a che fare con talenti creativi, come nel nostro caso e nel caso delle aziende nostre clienti.
Ovviamente non abbiamo la pretesa di considerare esaustiva questa lista, tutt’altro! Anzi, se chi leggerà avrà voglia condividere il proprio pensiero e la propria esperienza, gliene saremo grati.
1. Accertiamoci che la cultura aziendale sia stata definita a monte e che venga chiaramente comunicata e compresa.
Durante gli ultimi colloqui che mi è capitato di fare con la Gen Z, la cosa che mi ha colpito di più è stata che tutti i candidati mi hanno segnalato che per loro la cultura aziendale viene prima di ogni altra cosa, stipendio incluso, sottolineando anche quanto, molto spesso, le aziende dipingano di rose e fiori solo la facciata e poi non mantengano le promesse nel day by day. La sfida del “trattenere”, quindi, si gioca qui.
2. La crescita, personale e professionale, va considerata un tutt’uno e non si deve mai interrompere.
Anche in questo caso cito due esperienze dirette: da un lato, chi mi ha riferito di non tollerare la dicotomia che le era stata richiesta dalla frase “Lascia i tuoi problemi a casa”; più facile a dirsi che a farsi. Che presuppone, appunto, la convinzione che possiamo essere due persone diverse al lavoro e a casa, con tutto ciò che ne consegue a livello di stress psico-fisico. Dall’altro, chi mi ha detto che l’unico, vero stimolo del lavoro, oggi, è quello dato dall’apprendimento continuo, alla faccia delle routine e della comfort zone.
Ecco allora che, unendo queste due riflessioni, capiamo che la formazione interna, permanente, non va intesa solo come miglioramento delle competenze, ma anche potenziamento delle soft skills e del sé.
3. Dare fiducia e responsabilità è il presupposto per ottenerle in cambio.
Personalmente sono contraria alla cultura del controllo, per via del fatto che chi, in passato, lo ha esercitato nei miei confronti non ha ottenuto assolutamente nulla, se non una fuga a gambe levate. Se vogliamo “persone affidabili” anche quando il capo è in vacanza, sempre per citare esperienze reali, dobbiamo prima di tutto aver creato i presupposti di fiducia e responsabilità.
4.Concediamo autonomia alla squadra e assegniamo responsabilità precise alle persone.
Complementare al punto sopra, qui vorrei soffermarmi su un aspetto in particolare: l’importanza che ciascuna persona abbia chiare quali sono le aspettative nei suoi confronti e il lavoro che le è richiesto. Specialmente se il team è poco coeso, non c’è nulla di peggio che lasciare alla buona volontà individuale la presa in carico di un compito: finirà che sarà sempre la stessa persona a svolgerlo, la più stacanovista forse, ma anche la meno indicata a cambiare lo status quo dei “fannulloni”.
Chiarire questi aspetti non può che spettare al leader.
5. I feedback – costruttivi – non devono essere lasciati al colloquio individuale in fase di performance review.
Non solo chi è appena entrato in azienda, ma anche chi è da tempo con noi, è affamato di feedback, sia positivi che negativi. Vuoi perché siamo immersi in una cultura dell’errore, dove solo la lacuna viene fatta notare, mentre il lavoro ben eseguito viene spesso dato per scontato, vuoi perché il tempo per la relazione umana è sempre messo in fondo alla lista dei to-do, i feedback passano in secondo piano.
Aggiungo: dare feedback anche ai candidati i cui colloqui non hanno avuto esito positivo è un potentissimo strumento di marketing spesso sottovalutato.
6. Condividiamo e festeggiamo i traguardi raggiunti.
Questo aspetto è complementare quello sopra. E anche in questo caso, spesso, non viene dato il tempo sufficiente tra un’attività e l’altra per fermarsi e complimentarsi a vicenda, guardando indietro ai risultati raggiunti, come se fossimo costantemente alla ricerca di qualcosa di più grande che non arriverà mai.
I risultati possono essere celebrati anche di giorno in giorno, di settimana in settimana (noi abbiamo la prassi della mail del venerdì per farlo), quel che è certo è che non occorre per forza una bottiglia di champagne o chissà cosa per far percepire alla squadra che è stato fatto un ottimo lavoro. Basta molto meno, che di fatto è molto di più.
7. Creare opportunità di scambio e contaminazione tra team e persone.
Quando Steve Jobs era a capo della Pixar (dal 1986 al 2006, quando poi fu acquistata dalla Disney), volle che il corpo centrale del campus dove migliaia di persone ogni giorno lavorano, mangiano e giocano, fosse concepito con un atrio molto ampio affinché tutti i dipendenti Pixar dovessero passare tutte le mattine da lì, circostanza che avrebbe favorito conversazioni e incontri casuali.
Le risorse umane dovettero mettersi di traverso per evitare che anche tutti i bagni fossero in quell’edificio… Estremismi a parte, la scelta che abbiamo adottato noi, con un team full-remote, è stata quella di creare occasioni di scambio in due modi: mentoring one to one e formazione di gruppo, dove ciascuno di noi propone un tema su cui si sente particolarmente forte e dedica due ore del proprio tempo alla divulgazione agli altri.
8. Ma le competenze spesso non bastano, a fare differenza è l’incastro magico delle personalità.
Non è un caso che sempre più HR conducano il test delle 16 personalità sui candidati per comporre un team. Trovare il giusto equilibrio tra personalità viola, verdi, blu e gialle ovvero tra analisti, diplomatici, sentinelle ed esploratori è il segreto dell’armonia e di conseguenza del successo dei progetti. Rimando alla descrizione dei tipi di personalità per un approfondimento.
9. Allineiamo il team comunicando obiettivi finali e intermedi in modo chiaro e preciso.
Trasparenza, trasparenza, trasparenza. Questo aspetto ha un effetto immediato sulla motivazione delle persone e sul tasso di coinvolgimento. Quante volte, infatti, abbiamo sentito lamentele come questa “Sento che non sto facendo la differenza, vorrei un ambiente dove venisse riconosciuto quello che faccio”, “Mi sento un numero”, “Non ho idea di come il mio lavoro abbia una ripercussione sulla crescita dell’azienda”. Ecco, perché allora non cominciare a condividere le metriche chiave? O, ancor prima, a tracciarle? Il sistema cosiddetto di OKR (Objectives and Key Results) può essere molto utile in questo senso.
10. Guidare dalla trincea sporcandosi le mani.
Ultimo ma non ultimo, forse il mio preferito. Qualcuno mi dirà che posso ancora permettermi di mettere le mani in pasta su nuovi tool da esplorare, piani editoriali, articoli di blog, un’occhiata al sistema di fatturazione e dettagli vari perché la startup è ancora piccola e le cose da fare relativamente poche. Non lo so, non ho la sfera di cristallo per sapere se potrà essere sempre così. Ma aver dovuto fare in prima persona tutto quello che oggi sto delegando mi è incredibilmente utile per non sottovalutare il tempo necessario a svolgerlo.
Attenzione, non vuol dire fare micro-management a vita! Vuol dire offrire una mano se un collaboratore è in difficoltà nel rispettare le scadenze, non categorizzare i ruoli di serie A e serie B solo perché uno è più operativo dell’altro, ecc. La mancanza di prospettiva credo sia una delle problematiche più frequenti nei team, pensare magari che il lavoro degli altri non sia di valore quanto il nostro.
Con questi 10 consigli mi fermo e ringrazio chi è arrivato a leggere fin qui.
Lungi da me pensare di avere la soluzione in tasca, queste sono solo alcune proposte che mi sento di fare alla luce della mia esperienza, prima come dipendente e poi come imprenditrice. Credo anche che questa sia una tematica che sta cominciando ad essere esplorata solo in tempi molto recenti, per cui si presta a tantissimi altri lavori di analisi. Spero di poter contribuire a questo dibattito grazie a Flowerista.
Questo articolo fa parte di una serie in cui raccontiamo dall’interno il modello organizzativo e il modus operandi di Flowerista, andando ad ampliare e teorizzare quello che solitamente veniva convogliato ogni 3 mesi nella newsletter “Vita da Flowerista”. Tutto questo troverà poi un unico contenitore formale quando nei primi mesi del 2024 uscirà il libro “Ecosistemi ad impatto”, scritto da Sara Malaguti.
Digital Strategist e fondatrice di Flowerista.
Aiuto aziende e liberi professionisti a comunicare online, senza gridare. Mi occupo di trasformazione digitale in chiave sostenibile, per l’ambiente e per la società in cui viviamo.